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Storia di Pravisdomini

In questa sezione sono trattati:

- la storia della parrocchia di Pravisdomini

- il culto della Madonna del Gran Perdon di Pravisdomini.

 

Parrocchia di Sant’Antonio Abate - Pravisdomini

Chiesa parrocchiale SantAntonio Abate PravisdominiLa località di Pravisdomini appare già in un documento del 1218.

Un tempo, gli abitanti affermavano che il nome significava “Prato del Signore”, ma in realtà il toponimo indica “Prato del visdomino”, il “vice signore”, un amministratore delegato, probabilmente dal patriarca di Aquileia.

Agli inizi del cristianesimo gli abitanti anche delle piccole comunità per prima cosa pensavano a realizzare un luogo di culto, un sacello, una chiesuola, per recarsi a pregare individualmente e in forma collettiva. Questo luogo era il simbolo di appartenenza alla propria comunità. Quando la comunità cresceva si arrivava a costruire un piccolo tempio, si chiedeva all’autorità religiosa l’istituzione di una cappellania, poi di una curazia e in seguito si lottava per l’indipendenza chiedendo l’istituzione della parrocchia. Alla comunità era imposta la “dotazione” dei beni della chiesa per il mantenimento del suo decoro e per il sostentamento del sacerdote, ottenendo in cambio la facoltà di eleggere il proprio pastore (juspatronato).

Qualche anno fa è stato sostituito il pavimento della chiesa parrocchiale e sono venute alla luce le fondamenta della preesistente, risalenti all’XI sec., orientata come l’attuale, ma più piccola e dotata del portico, sotto il cui pavimento sono state esumate le ossa di sei persone, probabili pellegrini.
La comunità dei fedeli dipendeva dal parroco di Azzano. Prima del 1434 ottenne l’elevazione della chiesa a parrocchiale: era stata considerata socialmente organizzata e capace di provvedere alle necessità del culto.

La chiesa attuale in cotto, una delle più belle dei dintorni, con l’interno ad unica navata, presenta elementi decorativi romanici e gotici e risale al XV secolo.

Il sacro edificio aveva visto alterate le strutture originarie nel suo interno dai notevoli rimaneggiamenti di metà dell’Ottocento, tanto da creare un netto contrasto con l’architettura esterna ma per fortuna, meno di tre decenni fa, fu riportato alle sue forme originarie. Bella la facciata con il vistoso rosone, bello dal punto di vista ornamentale il fregio in cotto che scorre lungo il cornicione. Sul lato destro del portale a sesto acuto si eleva il campanile ben armonizzato con la costruzione.

La chiesa fu consacrata il 1° maggio 1488 da monsignor Pietro Tridano (o Fridanco) vescovo titolare di Nissa, coadiutore del vescovo di Concordia Antonio III Feletto (1455-1488).

Per secoli si ritenne che la primitiva chiesa fosse stata distrutta dai Turchi durante la scorreria del 1477.

I Turchi bruciarono parte del paese. Le parole di un’iscrizione incise nei mattoni d’angolo destro, in gran parte ancora perfettamente leggibili, ci tramandano: “P. (re) Jacobus de Ursara. 1477. Li Turchi corsero in Friuli al dì I de Novembrio et a dì 6, p…tornarono indietro. Messer Marcu de la Frattina sulle grave del Taiamento…” (sembra sia stato impalato, ma in una genealogia della famiglia è scritto che fu riscattato con mille zecchini).

La chiesa potrebbe essere stata inizialmente intitolata ai santi Filippo, Giacomo e Antonio, come riportato da più documenti, ma a partire dal 1489 l’unico titolare è S. Antonio abate.

La pala dell’altar maggiore è una delle opere più riuscite del pittore mottense Pomponio Amalteo. Nel 1579 sorsero delle divergenze tra il pittore e i rappresentanti della comunità rurale sull’entità del compenso per le pitture da lui eseguite nel coro della chiesa: per l’esecuzione di una ancona (tela con relativa cornice intagliata, sicuramente la pala dell’altare), di un gonfalone e di altre opere non specificate, molto probabilmente le decorazioni delle travature, per un ammontare di 360 ducati di cui 50 erano rimasti da saldare. Costoro presero l’impegno di saldare all’ Amalteo, presente all’incontro e consenziente, ancora 50 ducati in aggiunta ai 310 già corrisposti, di cui 30 come acconto immediato e 20 a saldo del debito entro un mese.

La pala dell’Amalteo del 1571, raffigurante il Cristo Risorto tra i Santi Antonio Abate e Giovanni Battista fu rimossa nel 1734 dall’antico altar maggiore ligneo, opera del pittore e scultore Pietro Albanese di Mure di Sesto, detto Piero da San Vido, per essere collocata nel settecentesco altare attuale, iniziato da Leone Mocenigo, nobile veneziano con una bella villa a Pravisdomini (ora Villa Morocutti, deteriorata dal tempo e da un incendio doloso). Un’iscrizione sul timpano dell’altare indica che l’opera è stata eseguita da Giovanni e Alò (Eligio) di Pietro figli di Leonardo. L’altar maggiore fu sistemato in data 1° settembre 1734 e dalla rimozione del precedente si trovò la memoria della consacrazione della chiesa in onore di S. Antonio abbate oltre alle reliquie, avvenuta, come si è detto, nel 1488.

Gli altari laterali barocchi, dedicati a S. Antonio abate e alla Madonna del Rosario, non sono di grande pregio. Sarebbero stati acquistati a Venezia, dopo la soppressione napoleonica di ben 200 chiese avvenuta nella città lagunare. Come in diversi altri casi i camerari (amministratori parrocchiali, poco dopo sostituiti, con meno poteri, dai fabbricieri) si recarono a contrattare la cessione di opere custodite all’interno delle chiese sconsacrate, per abbellire le chiese e in certi casi riarreddarle dopo gli spogli avvenuti a opera dei soldati di Napoleone nel 1797.

Il precedente altare laterale di S. Antonio abate era stato realizzato nel 1542 dal pittore, intagliatore e decoratore Piero da San Vido per la somma “di 25 ducati a L.(ire) 6 e S. (soldi) 4 per ducato”. Il contratto venne redatto a Portogruaro “nella abitazione del nobile Signor Francesco de la Frattina” ed è firmato da Bortolo Viani fu Giovanni, quale podestà della Villa di Pravisdomini e Camerario della chiesa di S. Antonio abate di Pravisdomini…”. Piero da S. Vido potrebbe essere anche l’autore di qualcuno degli affreschi sulla parte superiore dell’arco trionfale.

Una nota sulla parete a destra del sacro edificio ricorda ai fedeli che la festa della dedicazione si celebrava il 1° maggio, ma dal 1788 fu spostata al 10 aprile, per decreto del vescovo mons. Bressa (1779 – 1817).

All’esterno della chiesa, sul lato della strada, rimangono soltanto alcune tracce del gigantesco San Cristoforo, rovinato dalle intemperie e soprattutto dagli scarichi degli automezzi della vicinissima arteria provinciale. E’ stato attribuito a Pomponio Amalteo.

Il benemerito Angelo Pasquini di Pravisdomini negli anni 1884-85 contribuì notevolmente al restauro della chiesa, con “denaro proprio largendo questo sacro tempio per vetustà decrepito al culto largamente restaurato donò”. I lavori riguardarono la costruzione di un controsoffitto con volta a crociera, realizzato con arelle (sciorini) intonacate, appese alle capriate, in netto contrasto con lo stile della chiesa e privo di valore artistico. L’interno veniva deturpato da gusti innovatori, adattandolo al gotico e l’apertura delle finestre sul lato nord è considerato una ferita alla fiancata.

Pregevole il coro, considerato un piccolo capolavoro e il tronetto una vera e propria opera d’arte.

Sugli altari laterali, che come accennato provengono da una delle chiese veneziane demolite, troviamo: in quello di sinistra una pala di Sant’Antonio abate di non molto pregio; in quello di destra una statua della Vergine priva di grande valore.

Il Crocifisso, una scultura lignea del Cinquecento, raffigurante Cristo spirato nella Croce, restaurato nel 1991 da Giancarlo Magri, è un’opera delle dimensioni di cm. 133x136, mentre la Croce misura cm. 157x346. La scultura è stata ricavata da più pezzi di legno di tiglio. “Le policromie realizzate con colori a tempera stesi a velatura su una preparazione sottilissima. L’opera si presentava con tre sovrapposizioni di ridipiunture che snaturavano l’aspetto cromatico della scultura, ridotta in stato precario per la fatiscenza del legno dovuta alla corrosione dei tarli” (G. Magri).

Il parroco don Silvio Bomben (1893-1941) fu alla guida della parrocchia dal 1926 alla morte . Alla sua iniziativa si devono: la posa dei nuovi finestroni, l’impianto della luce, la rifusione delle campane in sostituzione di quelle realizzate con il bronzo delle bocche da fuoco nemiche, divenute “fesse” dopo qualche anno, l’istallazione dell’organo della rinomata ditta Zanin di Codroipo, oltre alla realizzazione della sala parrocchiale, dotata di giochi.

Nel 1935 avvenne l’annessione della vicina borgata del Cedrugno, del Comune di Pramaggiore, che di fatto gravitava da sempre su Pravisdomini e che aveva dato natali a uno straordinario sacerdote. Mons. Giovanni Pasianotto (1916-64).

Nel 1946 lo scultore fossaltese Giuseppe Scalambrin realizzò una statua della Madonna di Fatima e una, quasi a grandezza normale, del Sacro Cuore. La seconda rovinò per una caduta verificatosi durante uno spostamento e fu bruciata.

Dalla relazione sull’ultimo restauro: “Sulla porta superiore dell’arco santo si erano ancora conservati i vecchi intonaci con gli affreschi (distrutti totalmente invece in basso sino all’altezza del soffitto). Essi risultavano in parte ricoperti da scialbo, ma poteva bel leggersi un’ampia composizione col “Padre Eterno e Angeli”, parte di una “Annunciazione”. La zona absidale risultava completamente rinnovata nel paramento murario: anche dietro gli stalli del coro non sussisteva più traccia della originaria decorazione. Solo alle spalle della pala dell’altar maggiore si conserva un frammento – indubbiamente amalteiano – raffigurante il “Noli me tangere”. Solo le vele della volta rivelano la presenza di affreschi sotto calce”.

Dall’analisi degli affreschi da parte degli esperti è emerso come i lacerti rimasti siano antecedenti ai documentati interventi dell’Amalteo e che l’autore di quello del classico “Eterno Padre” possa essere identificato con Antonio da Firenze, mente il fondale di quelli dell’Angelo e dell’Annunciazione apparterebbero a una mano diversa.

Gianni Strasiotto

Madonna della Salute e del Gran Perdon di Pravisdomini

Santuario Madonna della Salute PravisdominiL’avvenimento che ha dato origine a quella che diverrà poi la festa del Gran Perdon di Pravisdomini risale alla prima metà de Seicento, quando gli abitanti sciolsero il voto alla Vergine Maria per lo scampato pericolo della peste, che si era propagata in Veneto e Lombardia. Nel 1629-30 il nostro territorio fu colpito da “terribile carestia”, cui fece subito seguito la peste.“…L’ano 1630 si atachò la peste in Venetia scomenzò il mese di settembre et seguitò sino al mese di febraro ogni giorno ne moriva sie sete cento tal giorno più tal giorno mene. Fato il mese di genaro andavano ogni giorno morendo mancho et durò sino al mese di ottobre 1631.

Si apestò Portogruaro che pochi ne restarono…Cavorle giera apestato…”.

Ma la peste non colpì Pravisdomini.

Il voto prevedeva l’erezione di un piccolo edificio da dedicare alla Madonna della Salute, prontamente realizzato (si può ipotizzare finito nel 1634). Fu ampliato una prima volta nel ‘700 e prese l’attuale forma a fine 1899, quando viene edificato il piccolo campanile con cella a quattro bifore e merli ghibellini e collocata la nuova statua della Vergine, un bella opera della ditta Giovanni Minoia di Torino.

Il pregevole altare ligneo, era stato attribuito a Girolamo Comuzzo (documentato nel periodo 1635-1670), ma il recente restauro ha fatto riaffiorare la scritta molto lacunosa “17-1 Gian Pietro de Imponzo de Cargna fece questa opera”. Secondo P. Goi questo pittore-intagliatore dovrebbe essere il meno noto Gian Pietro Pittoni e la data dell’esecuzione il 1701. La pala dell’altare è dei primi anni del XIX secolo.

Sul fianco sinistro dell’aula c’è l’avancorpo quadrato con angolo smussato contenente la cappella con l’altare e la statua della Vergine.

Nel 1797 la chiesetta della Madonna della Salute è spogliata e profanata dai soldati napoleonici: una nobile gara la riporta in poco tempo allo stato originale, con la collocazione di nuovi arredi.

Dall’ottobre 1817 a tutto il 1818 nella nostra zona imperversa il tifo, nel 1841 si diffonde il vaiolo, ma Pravisdomini ne viene preservata, come pure dall’epidemia di colera del 1835/36.

I fedeli rinnovano perciò il voto alla Vergine.

E’ durante il papato di Gregorio XVI (1831-46) che viene emessa la bolla con cui si concede ai fedeli l’indulgenza plenaria in occasione delle processioni della Beata Vergine della Salute. Nasce così il “Gran Perdon di Pravisdomini”. Le insistenti ricerche non ci hanno fatto trovare nessun altro “Gran Perdon”, anche se una festa detta del “Perdono Grande” si celebra a Clauzetto, ma non è legata ad un voto popolare ed è relativamente recente.

La chiesetta di Pravisdomini, situata a lato dell’importante strada Venezia-Vienna, è stata nel corso dei secoli meta di pellegrini e punto di sosta per tante persone di passaggio e via via si è riempita di ex-voto per grazia ricevuta. Molti sono, infatti, gli episodi straordinari attribuiti all’intercessione della Vergine. Nel 1883, a ringraziamento collettivo, nell’edificio viene anche collocata una seconda statua della Madonna col Bambino. Fedeli accorrono da tutta la zona, specie in marzo ed in ottobre, per partecipare alla recita del Santo Rosario. Nel 1917 le due antiche campane non sfuggono però alla requisizione austro-ungarica per il loro utilizzo nella costruzione di bocche da fuoco.

Il 22 agosto 1918 un centinaio di capifamiglia della parrocchia rinnova il voto perpetuo di onorare solennemente, la seconda domenica di agosto di ogni cinque anni, la Beata Vergine e le chiedono la grazia “…che nessuno perisca e che entro l’anno siamo liberati”.

Siamo dell’avviso che in nessun altro santuario, fra gli ex-voto, ci sia un fucile, per di più, con la canna scoppiata. Si narra che sia stato portato da Achille Polese (1863-1926), persona non molto praticante. Il giorno di Ognissanti sarebbe andato a caccia, proprio quando la religiosità popolare imponeva non solo di non eseguire alcuna attività, ma di astenersi anche dal governare gli animali della stalla. I consigli di quanti, incontrandolo, lo invitano a far ritorno alla propria abitazione non trovano ascolto. Al primo sparo, avvenuto mentre in chiesa si sta celebrando la messa solenne, si verifica lo scoppio dell’arma, che lo lascia miracolosamente indenne. Il Polese porta subito il fucile ai piedi dell’altare della Madonna, fucile che tuttora si vede appeso al muro, assieme agli altri ex voto. Un quadretto a fine ricamo P.G.R. è stato portato da un benemerito della parrocchia, Bortolo Crosariol, (fu per molti anni fabbriciere ed a capo del comitato per l’apertura dell’asilo infantile nel 1947), al quale pure scoppiò il fucile, del tipo “a bacchetta”, cioè caricato dalla canna, perché – presumibilmente – caricato due volte. Riportò ferite molto gravi, rimanendo fra la vita e la morte per un mese, mentre la mamma, i familiari e tanti fedeli si alternavano giorno e notte nella recita del Rosario nel piccolo santuario, chiedendo la grazia della sua guarigione alla Madonna.

Molti ex-voto sono stati eliminati, perché deteriorati, fra i rimasti, per lo più quadretti ricamati, figura un quadro contenente una lunga treccia di capelli molto scuri, di cui non si riesce ad ipotizzare la data del collocamento.

Tanti sono gli interventi prodigiosi tramandati nell’ambito famigliare ed arrivati a noi dalla tradizione orale, che ormai si sta perdendo. I più frequenti sono legati alla preservazione del territorio parrocchiale dal flagello della grandine, che colpisce i territori confinanti, anche dello stesso comune, lasciando indenne il territorio parrocchiale.

Nel 1944, nonostante la guerra e l’occupazione nazifascista, il parroco don Luigi Peressutti celebra egualmente, con grande partecipazione, la festa quinquennale, ma l’anno successivo fa un’eccezione (la sola che si conosca) e ripete la festa e la processione, per far partecipare i reduci della guerra, ciascuno dei quali aveva portato con sé – nei lunghi anni di guerra – la medaglia e l’immagine della Madonna della Salute e del Gran Perdon. Don Luigi invoca la “...la protezione della Vergine per i soldati ancora lontani e per i dispersi” ed invita gli animi alla riappacificazione.

Gianni Strasiotto