Questo sito usa alcuni cookie. Ti invitiamo a prendere visione dell'informativa.
“UN NATALE A COLORI…”
LETTERA DI NATALE 2021
Carissimi parrocchiani e carissime parrocchiane,
desidero raggiungervi con questa lettera per porgervi i migliori auguri di un buon e sereno Natale del Signore Gesù. Un augurio che si riverbera anche per fine anno 2021 e l’inizio del 2022. Quest’ultimo sia un anno capace di serenità ed armonia e di testimoniare la gioia di una “rinascita” della nostra quotidianità. Questo è un Natale diverso, potremmo definirlo “a colori”. Subito ci vengono in mente quattro tinte che già da due anni (quasi) ci accompagnano: rosso; arancione; giallo e bianco. Ci compaiono davanti ai nostri occhi come le limitazioni più restringenti e, via via, quelle meno vincolanti. Però qui desidero dare una nuova interpretazione, partendo dalla parola di Dio e dal significato del Natale.
Iniziamo con il rosso. Esso rappresenta diverse cose, dallo “stare attenti”, al “pericolo”, al fatto che non ci si può muovere oltre i confini comunali perché siamo in una situazione davvero gravosa. Ci viene alla mente il periodo del lockdown.
Però, il rosso, è anche il colore della vita, della forza, del Natale. Il rosso ci ricorda che dobbiamo stare attenti ai pericoli che ci sono a Natale. In primis di perderne il significato cristiano, della nascita del nostro Signore, ma anche di perdere la bellezza dello stare assieme in famiglia e di vivere un momento di stupore e meraviglia dove il «dono» non è solo quello che si scambia, me è anche la relazione autentica del condividere e creare comunione.
Passiamo all’arancione, questo è il colore dell’alba e del tramonto, ove le tinte colorano il cielo. È il colore dell’inizio e della fine. Così il Natale è l’inizio della nostra storia come cristiani, ma è anche la prospettiva del «dopo», in questa tensione verso Dio. Un colore che ci rammenta la straordinarietà della memoria delle nostre tradizioni, del nostro essere.
Il giallo, poi, è il colore del sole. Il vero «sole di giustizia» (Mal 3,19), Gesù, che riscalda la nostra esistenza e le dona vita. Non solo, il giallo è il colore della fiamma, del fuoco, dei campi di grano tutte immagini che ci portano alla vita. Il Natale è la vita della nostra fede, facciamo lo sforzo di rafforzarla e di rinnovarla.
In ultimo il bianco, il colore della luce. Per noi questa luce è Gesù. Lui stesso si definisce come tale «Io sono la luce del mondo» (Gv 8,12). Perché si definisce come luce? Lo vediamo all’inizio del Vangelo di Giovanni quando scrive: «In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta» (Gv 1, 4) e poco avanti «veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9). La luce è vita, illumina, rischiara, così Gesù per la nostra vita, per la nostra fede e per la nostra comunità. Lasciamoci avvolgere da questa luce e viviamo l’esperienza del Natale con quella gioia e stupore di chi ha incontrato davvero il Signore nella sua storia.
Buon Natale del Signore a tutti anche da parte di don Fabio, diac. Corrado e Diego.
Di cuore benedico voi e tutti i vostri familiari.
Sac. Luca Buzziol
Parroco
DODICESIMO INCONTRO CATECHESI ADULTI
“La Virtù Teologale della Fede”/10
Taiedo 28.Xi.2021
Dopo una lunga premessa ora iniziamo a scrutare il mistero e la profondità del Simbolo Apostolico[1]:
Io credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra
e in Gesù Cristo, Suo unico Figlio, nostro Signore,
il quale fu concepito da Spirito Santo, nacque da Maria Vergine,
patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto;
discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte;
salì al cielo, siede alla destra di Dio, Padre onnipotente:
di là verrà a giudicare i vivi e i morti.
Credo nello Spirito Santo,
la santa Chiesa cattolica, la Comunione dei Santi,
la remissione dei peccati,
la risurrezione della carne,
la vita eterna. Amen.
La risurrezione è un segno della presenza del Signore. Non solo, è anche la prova che tutte le profezie dell’A.T. si sono compiute ed avverate in Cristo. Ancora, diviene prova che Gesù è realmente il Figlio di Dio.
Nei Vangeli ci sono diversi episodi che narrano questo fatto di fede, sconvolgente e difficile da credere, quanto necessario: «Se Cristo non è risorto, vuota è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede» (1 Cor 15,14). Gesù si manifesta in diverse occasioni: ai discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24, 13-35); a Maria di Magdala e a Tommaso oltre che agli altri Apostoli (cfr Gv 20). In tutte queste occasioni non viene riconosciuto se non da un segno specifico: dallo spezzare il pane; al chiamare per nome, al farsi toccare.
Gesù lo aveva detto in modo esplicito: «Io sono la Risurrezione e la vita, chi crede in me, anche se muore, vivrà» (Gv 11,25).
Solo Lui ha sconfitto la morte e ci ha permesso di entrare nel Regno dei Cieli non ancora compiuto, ma già in atto. «La risurrezione è un evento dentro la storia che, tuttavia, infrange l’ambito della storia e va al di là di essa. Forse possiamo servirci di un linguaggio analogico, che sotto molti aspetti rimane inadeguato, ma può aprire un accesso alla comprensione. Potremmo considerare la risurrezione quasi una specie di radicale salto di qualità in cui si dischiude una nuova dimensione della vita, dell’essere uomini. Anzi, la stessa materia viene trasformata in un nuovo genere di realtà. L’Uomo Gesù appartiene ora proprio anche con lo stesso suo corpo alla sfera del divino e dell’eterno. D’ora in poi – dice Tertulliano - “spirito e sangue” hanno un posto in Dio»[2].
Questo nuovo modo di essere uomini e di pensare alla storia comincia dalla Pasqua, da quell’Ottavo giorno in cui Gesù Cristo, dopo essere stato vinto dalla croce e dalla morte, diviene vincitore. La liturgia del Triduo Pasquale ci inserisce in questi tre giorni in cui le sorti nostre cambiano totalmente. La Pasqua, celebrata nella Veglia Pasquale, diviene la festa della luce, dove le tenebre che hanno squarciato il velo del tempio (cfr. Lc 23), vengono vinte e dissipate. È la vittoria di Gesù sul peccato e sulla morte, dove alla vita terrena si aggiunge e si aggancia la vita eterna, sperata ed attesa.
Questo diviene anche un invito a risorgere quotidianamente dalle piccole morti che viviamo, ogni volta che soffriamo o siamo nel dolore oppure commettiamo peccato. Cristo ha vinto, è Lui l’ultima parola: vita!.
[1] Le riflessioni sono prese dal libro: R. Lupi, Credo. Commento al Simbolo degli Apostoli, 2012.
[2] Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, vol. 2, 303-304.
E' arrivato il libretto di preghiere personalizzato dell'Unità Pastorale di Chions. Lo potrete trovare in canonica a Chions con un'offerta.
UNDICESIMO INCONTRO CATECHESI ADULTI
“La Virtù Teologale della Fede”/9
Taiedo 24.X.2021
Dopo una lunga premessa ora iniziamo a scrutare il mistero e la profondità del Simbolo Apostolico[1]:
Io credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra
e in Gesù Cristo, Suo unico Figlio, nostro Signore,
il quale fu concepito da Spirito Santo, nacque da Maria Vergine,
patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto;
discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte;
salì al cielo, siede alla destra di Dio, Padre onnipotente:
di là verrà a giudicare i vivi e i morti.
Credo nello Spirito Santo,
la santa Chiesa cattolica, la Comunione dei Santi,
la remissione dei peccati,
la risurrezione della carne,
la vita eterna. Amen.
Gesù, dice il Credo Apostolico, “patì sotto Ponzio Pilato, questo rimanda ad un fatto storico realmente esistito e provato. Infatti, Pilato fu governatore della Giudea fra il 26 e il 36 d.C. e oltre ad essere menzionato nei quattro Vangeli, ci sono notizie della condanna a morte di Gesù anche nella lettera inviata a Cesare da parte di Plinio il giovane. Pilato fu un governatore molto sanguinoso, tanto che fu destituito e richiamato a Roma per dare spiegazione di “tutto il sangue versato” durante il suo regno. Il fatto che il Credo citi il governatore è per rimarcare la veridicità storica di ciò che Gesù ha vissuto, cioè la passione e la morte.
Gesù fu condannato, ingiustamente e con un processo “farsa”, alla morte più ingiuriosa riservata ai criminali, la morte di Croce. La crocifissione e morte di Gesù sono il culmine della donazione del Figlio di Dio; la Redenzione ha raggiunto la pienezza sulla croce: “Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti” (1Pt 2,24), San Pietro ci aiuta a fare quel salto di fede che ci permette di comprendere, come vedremo dalla risurrezione in poi, di leggere i patimenti, la morte in croce di Gesù come gesto di redenzione per l’umanità. La croce, diventa così il simbolo dei cristiani ed è solo il passaggio attraverso di essa che si coglie la profondità del messaggio di Gesù: da strumento di morte a trono di Gloria. Per arrivare a questo è necessario guardare tutto ciò con gli occhi della fede, sennò tutto è solo uno “scandalo” che non coglie la potenza di Dio che passa attraverso la donazione totale del Figlio.
Donazione che è rappresentata in modo particolare anche dal costato di Gesù, che trafitto dalla lancia, escono sangue ed acqua. I Padri della Chiesa hanno visto in questo il simbolo dei Sacramenti del Battesimo e dell’Eucaristia. Inoltre, Gesù patendo e morendo sulla croce, ha dato un valore nuovo alla sofferenza: un valore redentivo. Ogni uomo ha una sua partecipazione alla redenzione attraverso le proprie sofferenze.
La sepoltura rappresenta il fatto storico che Gesù umanamente ha sperimentato la morte. Mentre gli Inferi rappresentano la dimora dei defunti (lo Scheol ebraico). Gesù ha portato anche a coloro che erano vissuti e morti prima di Lui i benefici della redenzione e del suo sacrificio. In questo modo Gesù ha comunicato la salvezza a tutti i giusti che erano in attesa, poiché la salvezza da Lui operata è universale e per ogni tempo.
[1] Le riflessioni sono prese dal libro: R. Lupi, Credo. Commento al Simbolo degli Apostoli, 2012.